Tristezza o depressione? Come distinguerle e quando intervenire.

Tristezza o depressione? Come distinguerle e quando intervenire.

“Sono depresso”. Quante volte ci è capitato di pronunciare questa frase?

Forse, ci è anche successo di sentirci preoccupati per il nostro stato d’animo e di pensare di richiedere il supporto di uno specialista. È certamente importante occuparsi del proprio benessere psicologico ed un intervento precoce su uno stato depressivo si rivela spesso efficace rispetto ad una sua risoluzione.

Per comprendere cosa ci stia succedendo e se sia necessario chiedere aiuto è utile, innanzi tutto, provare ad operare una prima distinzione tra sintomi di natura depressiva e fisiologiche fluttuazioni dell’umore,a volte reattive a particolari eventi stressanti. In una società come quella attuale, in cui l’attenzione alla dimensione individuale si declina in un costante e pressorio prestazionismo, gli stati d’animo più faticosi appaiono come difficilmente tollerabili, perché si discostano da quell’immagine di efficienza in cui siamo costretti quotidianamente a rispecchiarci – e, a volte, a non riconoscerci. Questo può spingerci da un lato ad allarmarci per normali stati d’animo negativi e transitori; dall’altro a trascurare per lungo tempo problematiche che necessiterebbero, invece, di un intervento specialistico.

Il tono dell’umore, per sua natura, è dinamico e flessibile.
Ciascun essere umano, quindi, sperimenta nell’arco della sua giornata diversi sentimenti, sia positivi che negativi. Sentirsi scontenti o tristi ha anche una funzione adattiva: nel momento in cui qualcosa della nostra vita non ci piace e ci fa stare male, siamo più propensi a riflettere e a porci delle domande, costruendo l’opportunità di trarre nuovi spunti utili a ridirezionare la propria esperienza. La questione si fa più complessa quando questi stati d’animo si presentano in modo particolarmente intenso, frequente, scollegato da particolari eventi di vita; e risultano invalidanti rispetto allo svolgimento delle normali attività quotidiane.

Si parla di “depressione” quando, per almeno due settimane, il funzionamento dell’individuo appare nel suo insieme compromesso in modo significativo ed in cui sono presenti almeno cinque sintomi tra i seguenti:

  • umore depresso nella maggior parte del tempo ( tristezza, senso di angoscia, senso di colpa, senso di vuoto, disperazione)
  • diminuzione del piacere/interesse nel fare cose normalmente piacevoli
  • perdita o aumento di peso, perdita o aumento dell’appetito
  • agitazione o rallentamento motorio
  • alterazioni del ciclo sonno/veglia
  • senso di costante mancanza di energia (ma anche dolori cronici, disturbi gastrointestinali)
  • sentimenti negativi verso se stessi (colpa, indegnità, scarsa autostima, pessimismo)
  • difficoltà di concentrazione/memorizzazione
  • pensieri di morte o ideazione suicidaria

Tra i 5 sintomi presenti, deve essere presente almeno uno dei primi due menzionati. I sintomi non devono essere conseguenti all’assunzione di farmaci o sostanze psicoattive di qualche natura.

La depressione può essere instillata da uno o più eventi negativi e/o di forte impatto, anche in senso positivo (la perdita di una persona cara, la separazione dal partner, la perdita di un lavoro, ma anche una promozione, un trasloco); in altri casi può presentarsi in maniera del tutto svincolata da particolari eventi.

Può essere un vissuto costante o essere caratterizzata da un andamento altalenante, in cui a momenti di buon umore ed entusiasmo, seguono inspiegabili momenti di tristezza ed angoscia. Non esiste, in effetti un unico tipo di depressione, che è in realtà una definizione generica di disturbi che presentano tra di loro alcune differenziazioni.

Da quanto scritto fino ad ora, appare evidente come definire la depressione sia in realtà un compito complesso che deve tener conto di molteplici variabili; può essere difficile, per un singolo individuo, osservarsi in maniera obiettiva e definire se i propri vissuti ed i propri comportamenti corrispondano ai sintomi ed alle condizioni enumerate dalla letteratura.
Ciò non deve tuttavia né porre l’individuo in uno stato di forte preoccupazione, né spingerlo a far finta di niente e a trascurare il proprio malessere.

Del resto, non è compito del singolo fare un auto-diagnosi ed ecco che allora, di fronte ad uno stato di malessere troppo intenso e/o protratto nel tempo, il consulto di uno specialista potrà fornirci il necessario orientamento.

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