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Le fake news: perchè è così facile crederci?

Le “fake news”, notizie costruite ad arte tanto da risultare (quasi) sempre credibili e difficili da riconoscere, imperversano sui media e, in tempi di coronavirus, stanno rivelando tutto il loro potenziale negativo. Il giustificato crescendo di ansia e preoccupazione è stato anche alimentato dalla percezione di informazioni contraddittorie e dalla sensazione di essere lasciati all’oscuro delle notizie più importanti.

Le ragioni per cui esistono e si diffondono le fake news e quelle per cui le persone le reputano affidabili sono molteplici e complesse e vanno a toccare dimensioni psicologiche, sociologiche ed anche politiche. Sarebbe riduttivo quindi cadere in qualche interpretazione lapidaria e monolitica e, in fondo, non si farebbe altro che replicare ciò che accade con questo genere di notizie.

Infatti le fake news si “nutrono” della nostra difficoltà di esercitare in maniera costante una capacità critica a fronte di una mole di informazioni che, nell’arco di un paio di decenni, è radicalmente mutata. La quantità e la facilità d’accesso ad un mare magnum di informazioni comporta la necessità del nostro cervello di semplificare.

La tendenza a semplificare viene cavalcata dagli stessi media che, per fini pubblicitari e quindi commerciali oltre che politici, raccolgono ed analizzano le nostre preferenze, i nostri gusti, le nostre opinioni, le nostre ideologie. La nostra mente tende a selezionare “input” con una qualche risonanza emozionale e con un’affinità alle nostre attitudini e allo stesso tempo i media cercano di “guidare” gli input che ci inviano proprio in base a questi stessi parametri.

Ciò che noi cerchiamo e ciò che ci viene offerto quindi tende a combaciare; e questo genera un circuito crescente che tende ad autoalimentarsi.

Infatti le persone hanno bisogno di sentirsi affini a qualcun altro, di sentire qualcun altro affine a sé: rappresenta questo un bisogno su cui si fondano le nostre stesse strutture sociali e che si esprime in quel fenomeno sociale denominato “conformismo” – ben dimostrato, ad esempio, dagli esperimenti dello psicologo sociale Solomon Asch.

La possibilità di ricevere conferme rispetto alle proprie posizioni esistenziali, risponde d’altro canto anche ad un altro bisogno umano molto importante: quello del rispecchiamento.  I media mi rispecchiano, come fa un giornale, o un film, o un comizio di partito: ma il processo attivato dal web è esponenziale.

Potremmo anche dire che l’enorme risonanza mediatica delle nostre posizioni individuali accarezza le nostre predisposizioni narcisistiche, che ci rende sempre più pieni di queste risonanze, di queste conferme, di queste appartenenze virtuali che rendono le nostre stesse posizioni sempre più rigide e assolute. E certo non possiamo negare che anche l’opinione del gruppo di cui facciamo parte sia essa stessa un fatto, tanto vero quanto un fatto oggettivo.

In verità, moltissimi “fatti” sono in realtà sociali: ad esempio un Ministro è tale non per fatto oggettivo, ma per elezione; la sua nomina è quindi un fatto sociale, sebbene spesse volte incomprensibile.

Ma provare ad interrogarsi sulle notizie che riceviamo, anche quelle apparentemente meno rilevanti, chiedendoci se siano veritiere e quale funzione assolvano, può lentamente fare la differenza.

Forse non può salvarci da una pandemia mondiale, ma da un Ministro si.

A come Ansia

L’ansia è  uno stato affettivo costituito da senso di preoccupazione, inquietudine, pensieri ricorrenti, spesso accompagnato da concomitanti di natura fisiologica, come ad esempio tremolio, battito cardiaco accelerato, sudorazione eccessiva.

Questo stato può  essere percepito sia in previsione di un evento realmente pericoloso, che in maniera sproporzionata all’entità dello stesso o anche senza che vi sia riferimento ad un evento temuto. In base a questo è  possibile distinguere tra un vissuto ansioso come espressione adattiva di fronte ad un pericolo e stati affettivi indicativi della presenza di un disturbo d’ansia vero e proprio.

Rispetto alle reazioni di tipo fisiologico, l’ansia appare come non molto distante dalla paura; tuttavia, la paura è  normalmente commisurata ad un pericolo presente nell’immediatezza, mentre l’ansia si riferisce ad un pericolo atteso. Da ciò  si può  evincere come l’ansia in realtà abbia una funzione adattiva, finalizzata alla previsione, prevenzione ed evitamento di un pericolo. È  quando essa si presenta priva di un evento/oggetto temuto o in maniera spropositata rispetto ad esso, che diviene disfunzionale.

Per quale motivo, tuttavia, quando l’ansia ci assale e provoca sofferenza e quando comprendiamo che essa sia in parte o del tutto immotivata, non riusciamo a liberarcene e nemmeno a gestirla con facilità? Da sempre la psicologia clinica si interroga sui sintomi e su quelli che vengono definiti “vantaggi secondari”, utili a mantenere il sintomo. Vantaggi, ovviamente, di cui la persona non è  consapevole.

Quale potrebbe essere il vantaggio che l’ansia ci procura?

Paradossalmente le persone ansiose ricorrono all’ansia nell’illusione di gestire il proprio stato di disagio, come se provassero a controllarlo, in una spirale che invece non fa che acuirlo. L’ansia poi, proprio in quanto funzionale a prevedere i pericoli, può  dare a chi ne soffre la sensazione di avere il controllo degli eventi  prevedibili della vita ed il controllo sui propri stati emotivi; in definitiva il vantaggio secondario dell’ansia sarebbe quello di contenere aspetti che la persona teme, che reputa incontrollabili -interni ed esterni- attraverso un esercizio di ipervigilanza verso possibili eventi esterni.