Categoria: Psicoalfabeto

A di Aspettative

L’essere umano ha una naturale predisposizione a leggere la realtà attraverso degli schemi mentali che possano renderla prevedibile e, quindi, gestibile.

Ciò ci è possibile grazie all’elaborazione delle esperienze e la memoria.

I nostri schemi mentali contribuiscono alla costruzione delle aspettative, che consistono nella tendenza a costruire delle attribuzioni al mondo esterno, quindi a fatti, persone, gruppi, eventi, attribuzioni da noi prodotte e quindi corrispondenti ai nostri stessi contenuti.

Schemi mentali ed aspettative sono quindi elementi funzionali della nostra psiche, ma che, se assunti in maniera rigida, possono divenire disadattive.

In questo caso, le aspettative possono condurci a generare comportamenti che non ci conducono ai risultati sperati.

L’aspettativa si fonda su bisogni e desideri ma, a differenza di questi ultimi, è piu’ dinamica, un po’ come se fosse un ponte tra desiderio e comportamento.

R come resilienza

Con il termine resilienza (resilience) si fa riferimento alla capacità dell’individuo di far fronte allo stress, come espressione quindi di un buon adattamento ad esso ed alla presenza, oltre che all’utilizzo, delle risorse adeguate ad occuparsi di questo complesso compito. Il termine resilienza viene a volte identificato con quello di resistenza: in realtà essere resilienti significa si, resistere ad un evento stressante ma anche essere in grado di riorganizzare al meglio la propria vita.

Anche una persona resiliente percepisce il disagio di vivere condizioni complesse e quindi prova emozioni negative, come la paura, la tristezza, l’ansia. La resilienza è una funzione psichica che muta, in rapporto alle esperienze di vita e con queste si sperimentano. Sottolineare questo è molto importante perché ciò indica che la resilienza può quindi essere in qualche modo appresa ed “allenata”.

Una persona resiliente, di fronte ad un cambiamento, ad una difficoltà, la affronta, cercando di comprendere e sentire quanto sia in proprio potere per gestirla e vivendola, per quanto possibile, anche come un’opportunità di cambiamento e di ridefinizione di sé. Atteggiamenti che possono divenire auspicabili e raggiungibili per chiunque.

Tratto dal film “La vita è bella”, un padre straordinario che insegna la resilienza a suo figlio

P come Primo Soccorso Psicologico

In situazioni di emergenza, l’intervento psicologico funziona come una sorta di “pronto soccorso” psichico, volto a sostenere l’Io degli individui.

Cosa significa sostenere l’Io?

Significa che è necessario rafforzare le risorse già presenti nei singoli individui e nella collettività. Potremmo dire, raffrontando questo intervento, che esso va nella direzione opposta ad un trattamento psicoterapeutico volto a far emergere, ad esempio, contenuti inconsci e a mettere in discussione difese disfunzionali.

Nel primo soccorso psicologico le risorse vengono implementate e le difese funzionali rafforzate; di più, ciò che distingue questo tipo di supporto psicologico da quello propriamente detto è che in emergenza, ancora più che in situazioni ordinarie, fondamentale è un intervento di tipo multidisciplinare. Il trauma ha infatti una radice multifattoriale e l’intervento che ne segue non può che essere integrato.

E come Emergenza (psicologia della)

La psicologia dell’emergenza riguarda lo studio, la prevenzione ed il trattamento dei processi psichici che si determinano prima, dopo e durante un evento “critico”.

“Oggetto” di studio ed intervento può essere il singolo individuo, con l’obiettivo di preservare quanto più possibile la sua integrità cognitiva ed emozionale, messa a repentaglio dall’angoscia traumatica; altro oggetto di studio e di intervento può essere la comunità, per prevenire o superare quei fenomeni psichici collettivi quali, ad esempio, il panico collettivo, l’esodo di massa et al.

N come No

Stabilire dei confini è un aspetto fondante dell’intervento clinico e della psicoterapia. Ha in definitiva a che fare con la definizione del setting, elemento costituente del processo clinico. Il ” gioco” della psicoterapia, come ogni gioco ed ogni relazione, necessità di regole per essere definito come tale. Come potremmo giocare a scacchi, se prima non avessimo disposto sulla scacchiera  tutti i pezzi al loro posto?

Ecco che la scelta di un giorno a settimana, di un certo orario, come anche quella di evitare per ciò che è possibile i contatti telefonici, al di là dei significati specifici di ognuna di queste scelte, ha proprio questa funzione. Diversi approcci terapeutici e diversi psicoterapeuti possono dare maggiore o minore rilievo alle diverse impostazioni. Per esempio, alcuni psicoterapeuti utilizzano il “lei”, mentre altri il “tu”.

Ciò che è importante non è solo e tanto l’impostazione scelta, ma soprattutto il fato che esista. Proteggere la stabilità di questo assetto, a volte con dei “no”, protegge il processo psicoterapeutico.

E di Emozioni

Definire l’emozione è un compito complesso, perché si tratta di un concetto estremamente articolato ed al contempo aleatorio.

Per parlare di emozioni si fa riferimento alle percezioni soggettive, ma anche ai comportamenti come ai mutamenti fisiologici e ai segni esteriori; possono verificarsi l’uno in assenza dell’altro. Un’emozione ad esempio può non essere percepita in modo conscio, ma agire su un piano puramente somatico, mentre un’altra può esprimersi in termini di vissuti e di comportamenti conseguenti.

In tutti i casi, negli ultimi decenni la psicologia ha posto maggiore attenzione alla dimensione relazionale dell’emozione: la felicità predispone alla collaborazione, come la tristezza alla richiesta di aiuto e via dicendo. Le emozioni non sono quindi delle semplici  risposte passive a stimoli esterni, ma processi bidirezionali. Processi, perché individuo e contesto si condizionano reciprocamente e mutano di conseguenza; bidirezionali, perchè individuo e contesto sono interconnessi.

Dal film “Inside Out”, una simpatica presentazione delle principali emozioni

A come Ansia

L’ansia è  uno stato affettivo costituito da senso di preoccupazione, inquietudine, pensieri ricorrenti, spesso accompagnato da concomitanti di natura fisiologica, come ad esempio tremolio, battito cardiaco accelerato, sudorazione eccessiva.

Questo stato può  essere percepito sia in previsione di un evento realmente pericoloso, che in maniera sproporzionata all’entità dello stesso o anche senza che vi sia riferimento ad un evento temuto. In base a questo è  possibile distinguere tra un vissuto ansioso come espressione adattiva di fronte ad un pericolo e stati affettivi indicativi della presenza di un disturbo d’ansia vero e proprio.

Rispetto alle reazioni di tipo fisiologico, l’ansia appare come non molto distante dalla paura; tuttavia, la paura è  normalmente commisurata ad un pericolo presente nell’immediatezza, mentre l’ansia si riferisce ad un pericolo atteso. Da ciò  si può  evincere come l’ansia in realtà abbia una funzione adattiva, finalizzata alla previsione, prevenzione ed evitamento di un pericolo. È  quando essa si presenta priva di un evento/oggetto temuto o in maniera spropositata rispetto ad esso, che diviene disfunzionale.

Per quale motivo, tuttavia, quando l’ansia ci assale e provoca sofferenza e quando comprendiamo che essa sia in parte o del tutto immotivata, non riusciamo a liberarcene e nemmeno a gestirla con facilità? Da sempre la psicologia clinica si interroga sui sintomi e su quelli che vengono definiti “vantaggi secondari”, utili a mantenere il sintomo. Vantaggi, ovviamente, di cui la persona non è  consapevole.

Quale potrebbe essere il vantaggio che l’ansia ci procura?

Paradossalmente le persone ansiose ricorrono all’ansia nell’illusione di gestire il proprio stato di disagio, come se provassero a controllarlo, in una spirale che invece non fa che acuirlo. L’ansia poi, proprio in quanto funzionale a prevedere i pericoli, può  dare a chi ne soffre la sensazione di avere il controllo degli eventi  prevedibili della vita ed il controllo sui propri stati emotivi; in definitiva il vantaggio secondario dell’ansia sarebbe quello di contenere aspetti che la persona teme, che reputa incontrollabili -interni ed esterni- attraverso un esercizio di ipervigilanza verso possibili eventi esterni.

R come responsabilità del paziente in psicoterapia

Per parlare dell’importanza del senso di responsabilità del paziente in psicoterapia, mi piace pensare ad una metafora, ascoltata poco tempo fa, semplice ma efficace.

Ogni Persona è l’unica in grado di prendersi cura dei propri “fiori appassiti”, dandogli l’acqua che richiedono.

Non importa quanto sia stato, fino ad oggi, pesante l’annaffiatoio, o quanto sia stato difficile trovare l’acqua.

iniziare a dare acqua e concime, assumendosi un rischio.

Il rischio che nulla accada, il rischio che le radici di quei fiori stentino a riprendersi, o il rischio che, meravigliosamente, quei fiori tornino a splendere, raggianti.

Certamente il terapeuta ha le sue competenze, il suo ruolo, le sue responsabilità, la sua funzione.

La terapia si guida cioè alla pari, ma uno soprattutto la fa nascere o morire: il paziente.

P come Psicoterapia

Non esiste una definizione univoca di psicoterapia, anche considerando i molteplici modelli di intervento. Tuttavia la maggior parte di questi dovrebbe concordare su alcuni aspetti generali:

la psicoterapia è una modalità di intervento finalizzata ad aiutare le persone nella soluzione dei loro problemi, al fine di incrementare la qualità di vita.

Quindi la psicoterapia porta a cambiamenti personali che si traducono in uno sviluppo del modo di pensare, agire, sentire, vedere:

  • una relazione interpersonale fondata sull’alleanza
  • un luogo (setting) in cui tutto ciò che avviene è confidenziale
  • l’offerta, da parte del terapeuta di nuove prospettive
  • l’uso di procedure e tecniche che definiscono il modo di operare del terapeuta

 

I come Ipersonnia

Si tratta di un eccessivo e prolungato stato di sonno dell’individuo, con difficoltà nello svegliarsi o nel rimanere svegli. Può essere associata alla depressione o conseguire ad un uso scorretto di farmaci ipnoinducenti.